VERIFICA SPERIMENTALE DELLA NON-GENERALITA’ DELL’ASSIOMA DI KELVIN

VERIFICA SPERIMENTALE DELLA NON-GENERALITA’ DELL’ASSIOMA DI KELVIN

Capitolo 1 – Introduzione

L’esperimento descritto nell’eBook “Libro Incompiuto sull’Energia dell’Ambiente”, che dimostra come l’assioma relativo al secondo principio della termodinamica non abbia validità generale, può essere realizzato in modo più semplice, pur continuando ad impiegare il voltmetro elettronico Hewlett-Packard HP3455A.

Il primo esperimento fu condotto portando la temperatura del forno a circa 500 °C, al fine di replicare un analogo esperimento descritto dallo studioso Philip Hardcastle. Nel primo esperimento, non fu ritenuto opportuno collegare in serie i tubi 3Q4 tramite i relativi zoccoli di connessione, in quanto si temeva che, a quel livello di temperatura, l’ossigeno atmosferico potesse compromettere la continuità elettrica delle giunzioni e falsare i risultati.

In quel primo esperimento, pertanto, i collegamenti elettrici necessari per mettere in serie i tubi termoionici 3Q4 furono realizzati saldando dei fili conduttori direttamente sui piedini dei tubi termoionici, mediante brasature a temperature di circa 1000 °C.

Il metodo per realizzare l’esperimento descritto nel seguito evita la necessità di effettuare le suddette saldature con brasatura forte – questo è un primo vantaggio, dato che queste non sono tanto facili da realizzare e spesso causano la distruzione dei tubi termoionici.

Si vedano, a tale proposito, i video postati nel seguente Canale YouTube:

Capitolo 2 – Realizzazione pratica dell’esperimento semplificato e istruzioni per ripeterlo

L’esperienza ha dimostrato che non è necessario aumentare la temperatura del forno fino a 500 °C, in quanto si è visto che le tensioni elettriche sviluppate da 24 tubi 3Q4 collegati in serie, iniziano ad essere misurabilia partire dalla temperatura di 200-250 °C e aumentano esponenzialmente oltre i 300 °C.

La possibilità di mantenere la temperatura massima dell’esperimento poco al di sopra di 300 °C, ha consentito di assemblare 24 tubi 3Q4 utilizzando i relativi zoccoli di connessione. I collegamenti interni tra i 24 tubi termoionici 3Q4 sono stati realizzati con la tecnica della brasatura dolce a base di legametallica composta da Stagno, Argento e Rame con punto di fusione a circa 400 °C.

In questo modo, si ha l’ulteriore vantaggio di poter facilmente dimostrare che non è stato introdotto nessun imbroglio o trucco, in quanto l’esperimento può essere facilmente e completamente smontato.

La seguente Figura mostra il gruppo completo di 24 tubi 3Q4.

Figura

Per brevità, denominiamo “Sistema” questo insieme di elementi.

La schema elettrico del Sistema è mostrato nella seguente Figura.

Figura

Il riscaldamento del Sistema può essere ottenuto rinchiudendolo dentro un forno. In alternativa, è possibile introdurre il Sistema tra due fornelli elettrici sovrapposti.

La seguente Figura mostra quest’ultima versione, la quale è stata effettivamente realizzata al preciso scopo di dimostrare che non c’è alcun trucco, dato che può essere facilmente ispezionata.

Figura

Se si prevede di mantenere sotto riscaldamento il Sistema per lunghi periodi di tempo, è opportuno provvedere ad immettere all’interno del forno un piccolo flusso di un gas inerte, come ad esempio Azoto o anidride carbonica. Con tale accorgimento, si può evitare l’ossidazione dei connettori elettrici degli zoccoli e dei piedini dei tubi termoionici. Se tale ossidazione si verificasse, la ripetibilità dell’esperimento sarebbe compromessa.

I due fili conduttori che portano la corrente elettrica sviluppata dal Sistema fino all’ingresso del voltmetro, devono avere la medesima composizione e quindi devono consistere in due tronconi prelevati da un unico lotto di filo conduttore, come Rame o preferibilmente Argento (come nell’esperimento).

Questa precauzione serve a evitare che qualche detrattore possa avanzare l’ipotesi che la corrente elettrica misurata non sia originata dal fenomeno dell’emissione termoionica, ma dall’effetto termoelettrico.

Tale effetto si verifica quando si uniscono tra loro due fili metallici di diversa composizione, e il punto di congiunzione viene riscaldato rispetto al lato opposto, dove il voltmetro è collegato.

Tale effetto non si verifica se i due fili metallici di cui sopra hanno la medesima composizione.

Esiste anche un altro motivo per cui il potenziale elettrico misurato ai capi del resistore di carico non può essere generato dall’effetto termoelettrico: i due fili metallici di cui sopra non sono in reciproco contatto in corrispondenza dei tubi termoionici, ma sono separati da 24 sezioni di vuoto pneumatico, e ciò costituisce un secondo motivo che impedisce il manifestarsi dell’effetto termoelettrico.

Infine, il potenziale elettrico misurato ai capi del resistore di carico aumenta all’aumentare del numero dei tubi collegati in serie, e ciò dimostra, in modo definitivo, che l’effetto termoelettrico non può essere la causa della generazione della corrente elettrica che transita dentro il resistore di carico.

Se per portare il Sistema a 300 °C viene usato un fornello elettrico con resistore riscaldante a vista (come quello che è stato utilizzato), bisogna interporre, tra fornello e il Sistema, una rete metallica collegata a terra al fine di schermare i disturbi elettrici provenienti dalla rete elettrica.

Capitolo 3 – Riduzione dei disturbi elettrici

Il Sistema è stato collegato con il resistore di carico e con il voltmetro tramite due fili conduttori, i quali possono essere raggiunti da disturbi elettrici. Tali disturbi sono stati ridotti al minimo adottando gli accorgimenti qui descritti.

Il Sistema è composto da 24 tubi raggruppati tra due dischi metallici, i quali fungono da schermo elettrico. Uno dei due citati fili conduttori è collegato elettricamente al filamento del primo tubo 3Q4 ed anche ai due dischi metallici, e il tutto è collegato a terra. Il secondo filo conduttore, invece, è collegato alla griglia di controllo dell’ultimo tubo 3Q4 della serie.

Con tale disposizione, non è conveniente utilizzare l’ingresso bilanciato del voltmetro HP3455A (quello a sinistra), ma conviene utilizzare quello sbilanciato (a destra).

Il filo collegato a terra è stato usato come uno schermo elettrostatico per l’altro filo metallico. Questa schermatura è stata realizzata avvolgendo, con passo piuttosto lungo (esempio: 5 – 8 cm), il filo collegato a terra attorno all’altro filo, il quale, quindi, è stato elettricamente isolato dall’altro mediante una calza di lana di roccia. Tale filo conduce le cariche negative all’ingresso sensibile del voltmetro.

Il resistore di carico è stato saldato direttamente tra i due fili, in corrispondenza dell’ingresso sbilanciato del voltmetro.

Capitolo 4 – Descrizione del funzionamento

La presenza del resistore di carico è essenziale, in quanto lo scopo dell’esperimento è quello di verificare che il resistore di carico si riscalda a causa della corrente elettrica che lo percorre e che è generata dai tubi termoionici.

Nel momento in cui il voltmetro elettronico rileva una tensione elettrica diversa da zeroai capi del resistore di carico, tale resistore si deve riscaldare, sia pure di pochissimo, in base alla nota formula

P=V2/R

Dove P è la potenza termica (espressa in Watt) che la corrente elettrica sviluppa dentro il resistore R (espresso in Ohm), ai capi del quale la tensione elettrica V (espresso in Volt) viene misurata.

Qualche detrattore potrebbe obiettare che il Sistema descritto non consente che la temperatura sia uniformeall’interno del forno, e che quindi l’esperimento non dimostra la violazione dell’assioma di Kelvin. A una tale osservazione si può rispondere in modo molto semplice: In primo luogo, l’assioma di Kelvin non riguarda sistemi a temperatura uniforme.

In secondo luogo, seppure vi sono differenze di temperatura tra parti dei tubi termoionici, l’assioma di Kelvin è comunque violato nel momento in cui il Sistema genera corrente elettrica continua.

Non esiste, infatti, un qualsiasi altro fenomeno fisico, diverso dall’effetto termoelettrico, che sia in grado di consentire ad un tubo termoionico di generare spontaneamente corrente elettrica continua. Quindi, eventuali parti più fredde di un tubo termoionico possono soltanto contribuire alla produzione di elettricità in misura inferiore rispetto a quelle più calde. In altri termini, le parti più fredde dei filamenti dei tubi termoionici emettono flussi di elettroni di intensità minore rispetto alle parti più calde, e l’unica spiegazione che rimane, per salvare il principio di conservazione dell’energia, è che i filamenti dei tubi 3Q4 diventino spontaneamente più freddi dell’ambiente circostante, a causa del fatto che il Sistema genera corrente elettrica.

L’ininfluenza di eventuali differenze di temperatura, rispetto alla validità dell’esperimento, può essere messa in evidenza constatando che aumentando l’isolamento termico del Sistema, il potenziale generato resta invariato o perfino aumenta.

Come è descritto nel citato eBook, l’esperimento ha avuto esito positivo usando un gruppo di otto tubi 3Q4 racchiusi dentro un cilindro di Alluminio dello spessore di 20 mm, circondato da una resistore elettrico reso quasi incandescente. Pertanto, le differenze di temperatura all’interno del cilindro di Alluminio dovevano essere veramente piccole e insignificanti.

Capitolo 5 – Risultati

Quando è stata raggiunta la temperatura finale, vicina o leggermente superiore a 300 °C, il riscaldamento è stato regolato (in realtà diminuito) tramite un variatore elettronico (tipo “light dimmer”), in modo da mantener costante la temperatura, e la tensione ai capi del resistoredi carico è stata misurata a intervalli di tempo. Si è constatato che il voltaggio misurato è rimasto costante fintanto che la temperatura è restata costante.

Si è osservato che quando la temperatura del forno aumenta a partire dalla temperatura ambiente, i valori di tensione misurati sono stranamente positivi e assumono valori oscillanti. Superato un certo tempo e una certa temperatura, questi valori diventano stabilmente negativi, secondo la previsione teorica.

Circa i suddetti potenziali positivi anomali, bisogna considerare che i tubi termoionici non sono stati progettati per lavorare in assenza di alimentazione elettrica e neppure per essere riscaldati oltre i 300°C, per cui è lecito attendersi qualche comportamento anomalo o al momento inspiegabile.

Questo seconda modalità di esecuzione dell’esperimento è stata ripetuta più volte, per molti giorni, anche accendendo e spegnendo il riscaldamento. I risultati ottenuti dimostrano che l’assioma di Kelvin viene violato. Infatti, quando la temperatura supera i 250-320 °C, le tensioni misurate ai capi del resistore di carico da 1 MOhm collegato con griglia e placca restano in permanenza di segno negativo attorno a 5-10 mV, mentre, se l’assioma valesse anche per il Sistema,ai capi del resistore di carico il potenziale elettrico misurato dovrebbe restare sempre uguale a zero.

Qualche ingenuo osservatore potrebbe obiettare che per ottenere come risultato pochi mV su 1 MOhm,sono stati utilizzati ben due fornelli elettrici (che in genere hanno una potenza massima di almeno 1 kW ciascuno), e in definitiva non si sia realizzato null’altro che un grande spreco di energia. Tanto più che una temperatura di 300 °C sulla superficie della Terra non esiste.

Questo è vero, ma lo scopo dell’esperimento non è quello di produrre più energia di quella impiegata, bensì quello di dimostrare che un principio fisico non ha validità generale.

Ora supponiamo di poter svolgere l’esperimento sul pianeta Venere, o ancora meglio in qualche zona in penombra di Mercurio – pianeta in cui la massima temperatura ambientale riscontrabile fonde il Piombo e perfino altri elementi.

Anche in quei luoghi l’assioma di Kelvin dovrebbe valere. Però su tali pianeti non avremmo bisogno di fornelli, ma potremmo semplicemente assemblare il nostro Sistema e l’esperimento (nell’ipotesi di disporre di un voltmetro capace di funzionare a tali temperature) per vedere infranto l’assioma di Kelvin senza dover dissipare alcuna energia. Questo, purtroppo, non si può fare sfruttando il fenomeno dell’emissione termoionica qui, sulla Terra, ma anche qui potremmo verificare la non generalità dell’assioma anche a temperatura ambiente, a patto di usare tecnologie ben più sofisticate.